L’altra sera, mentre guardavamo The Nightmare Before Christmas e Labyrinth, uno in fila all’altro, per l’ennesima volta, con un alto quantitativo di martini e coca (più martini che coca… perché quando li prepara Spleen… ), avvolta nel plaid riflettevo su quello che mi si parava davanti…
Prendiamo la storia di Jack Skelettron: re della città di halloween, stufo di ripetere ogni giorno, ogni anno sempre le stesse cose, cercando però di arrivare sempre più in alto… vuole altro, vuole il nuovo il diverso, e crede di trovarlo nella città del natale… ma poi? poi le cose vanno storte, gli halloweeniani declinano tutto nel loro macabro linguaggio, Jack tra un po’ ci lascia le penne… La ricerca in fondo era nata dal “chi sono io?” (può forse essere altrimenti?) lui è il re di halloween perchè tutti gli altri lo vedono così, e lui come si vede? alla fine va quasi all’altro mondo (sorvoliamo pure sul fatto che lui sia uno schelettro) e lui cosa capisce?? che è e sarà sempre il Re delle Zucche…
Hey signor Burton, stai forse dicendo che siamo quello che siamo nati per essere, o che siamo nati per essere quello che saremo, senza margine d’errore?
“Sei tu che stai dando per scontato che sia così, non tutto è sempre quel che sembra qui nel labirinto” dice Gogol a Sara, all’entrata del labirinto… e poi Jareth (chissà quante volte l’ho già citata questa frase) “sono stremato dal vivere in funzione di ciò che ti aspetti da me”; insomma Labyrinth, per me, è un film pieno di frasi ad effetto (ormai posso permettermi di non concentrarmi sulla storia, sui vari dettagli, e posso ascoltare solo il senso delle parole, dimenticandomi anche il suono che fanno)…
È così? noi esistiamo attraverso gli occhi degli altri? Consideriamo poi che fino all’altro ieri ho studiato Freud, Hegel, Heidegger, Marx, Kojève e compagnia bella… uno di questi (non ricordo più se Heidegger o Kojève) ha detto che l’uomo è come si percepisce… ovvero noi siamo ciò che vediamo riflesso (nello specchio o negli altri)
stupisce ancora molto allora che la domanda universale sia “chi sono io?”, dovendola poi smembrare in “essere” e “io”, cosa vogliono dire queste parole? tutti in un modo o nell’altro provano a rispondere, filosofi, psicologi, anche gli scienziati (altrimenti perché stare a sezionare la realtà fino all’ultimo atomo, se non per capire cos’è la vita?)… il “da dove veniamo” e il “dove stiamo andando” importano poco, se prima non sappiamo chi è il soggetto che compie quelle azioni…
Non mi butterò in una dissertazione filosofica, non qui, non ora (e sinceramente non penso che scriverò mai di filosofia, ma questa è un’altra storia)… però posso dire che io ci sto provando a capire chi sono, e non è facile, perché la nozione di “io” è già abbastanza complicata di per sé, senza dovervi aggiungere l’”essere”… è per l’essere che uno ha bisogno di obiettivi, o sogni nel cassetto, chiamateli come più vi aggrada, altrimenti continuerà si ad andare avanti, perché tanto il mondo non si ferma se voi scendete, ma con un inutile e frustrante dispendio di energie…
A me invece la ricerca di Jack ha sempre dato un altro effetto, più che l’identificazione della propria identità con un qualcosa di legato al destino (perdonami se semplifico così il concetto), l’ho sempre vista come il tentativo di cambiare la propria routine in modo anche un po’ bizzarro, per poi rendersi conto che tutto quello di cui avevamo bisogno per sentirci vivi l’avevamo già, ma l’abitudine ce l’aveva fatto dimenticare.
Perchè noi scegliamo chi o cosa vogliamo essere (si spera), ma a volte la routine ci fa perdere il gusto delle nostre scelte.
E quanto è vero.
Non posso commentare invece Labyrinth perchè ammetto di non averlo visto così tante volte, invece, ma mi hai fatto venire voglia di rivederlo
Guardalo guardalo guardalo guardalo!
Ok, reazione da fan sfegatata a parte 😛
È un’interpretazione molto bella, e anche abbastanza azzeccata